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Design For 2013, aziende, bellini

 
 
 
 
Mario Bellini
 
Architetto e designer
 
 
 
 
Mario Bellini è un architetto e designer milanese di fama internazionale; è stato premiato otto volte con il Compasso d’Oro e insignito di numerosi riconoscimenti tra i quali la Medaglia d’oro della Presidenza della Repubblica Italiana per la diffusione del design e dell’architettura nel mondo (2004). Ha diretto Domus (1986-1991) ed è presente con 25 opere nella collezione permanente del Museum of Modern Art di New York che nel 1987 gli ha dedicato una retrospettiva personale. Numerosi gli allestimenti di mostre in Italia e all’estero. Dalla fine degli anni ’80 è stato uno dei protagonisti dell’architettura internazionale e ha realizzato, tra l’altro, il quartiere Portello di Fiera Milano, il Centro Esposizioni di Villa Erba, il Tokyo Design Center in Giappone, Natuzzi America Headquarters negli Stati Uniti, la Fiera di Essen in Germania, la National Gallery of Victoria a Melbourne, il quartier generale della Deutsche Bank a Francoforte, il Museo della Storia di Bologna, il Verona Forum. E l’edificio per il Dipartimento delle arti islamiche al Louvre di Parigi. A Milano, infine, dopo l’inaugurazione del nuovo Centro congressi al Portello, è in corso la ristrutturazione della Pinacoteca di Brera.
 
Intervista
Design. Disegno. Di ogni cosa. Dalla sedia al museo, al grattacielo. Per me l’inizio di tutto è stato proprio il disegno ovvero il progetto. Avevo cinque anni e il primo “committente” è stato lo zio paterno, Dandolo, che mi chiedeva di completare le sue cartoline raffiguranti vie, piazze, e monumenti di città storiche. Da allora non ho mai più smesso. Appena laureato, era il 1961, l’anno del primo Salone del Mobile di Milano, su una scatola di fiammiferi ho disegnato un tavolo. Camminavo nel mobilificio di Pedretti, dove ero stato invitato come neo laureato promettente, e tratteggiavo dei segni minimi, che raffiguravano appunto l’idea di un tavolo. Sottile, essenziale, leggero. Oggi si direbbe minimalista. Quel tavolo ha vinto il primo dei miei otto Compassi d’Oro. Confesso che mi sono tremate le gambe quando un giorno al telefono mi hanno detto che proprio io ero il vincitore di quel premio così prestigioso. “Design” in Brianza era una parola ancora poco conosciuta. Pierino Busnelli la pronunciava a modo suo, come scritta, ma ne intuiva la forza e così pure Cesare Cassina, che mi aveva messo gli occhi addosso proprio per quel mio tavolo premiato. L’incontro con Busnelli e Cassina ha cambiato la mia vita e ha dato inizio a una storia straordinaria iniziata con Cassina e poi con C&B (Cassina e Busnelli).
 
Le Bambole, B&B italia, 1972
 
In quegli stessi anni incontro un altro mito del design internazionale, Roberto Olivetti. Mi viene presentato alla fine del 1962 - due anni dopo la laurea - da Augusto Morello, intellettuale e talent scout, che mi aveva reclutato nel suo gruppo sperimentale di disegno per la Rinascente. È stata un’esperienza straordinaria. Proprio in quegli anni le macchine per ufficio subivano una trasformazione epocale, passando dalla tecnologia elettromeccanica a quella digitale-elettronica. Ciò mi ha stimolato a reinventare la tipologia di tutte quelle macchine: per scrivere, contabili o da calcolo (oggi ormai scomparse) riorganizzandone con libertà e creatività i componenti interni non più vincolati da ingombranti ordigni meccanici. Parlarne oggi sembra preistoria, in realtà è un passato recente che ha posto le fondamenta del paesaggio informatico che oggi ci circonda: iPod, iPad, iPhone, smartphone, etc. Essi sono il frutto di quella stessa attitudine liberata e creativa che, a partire da continue innovazioni tecnologiche, ha consentito e consente di inventare nuove “protesi” comunicative destinate a rivoluzionare sempre più le nostre relazioni di vita e lavoro.
 
Cab, Cassina, 1977
 
Ricordate Steve Jobs? Un giorno, era l’autunno del 1987, l’anno in cui il MoMA di New York mi dedica una retrospettiva, suona il telefono, dall’altro capo del filo Steve Jobs, che aveva appena ricominciato con la Apple, mi chiede di collaborare con lui per i futuri progetti che sta immaginando. Chiacchieriamo un po’ di forma e funzione, la vecchia questione di cui architetti e designer discutono da sempre. Una conversazione che ricordo con piacere e che termina però con un mio dispiaciuto rifiuto. Se avessi accettato avrei dovuto concludere la mia lunga e straordinaria avventura con l’Olivetti, e soprattutto avrei dovuto proseguire nella mia attività di designer proprio mentre ormai cominciavo a dedicarmi quasi esclusivamente all’architettura.
Parallelamente alla mia consulenza con Olivetti si sviluppa la mia collaborazione con Cassina e C&B cui si aggiungeranno numerosi incarichi in Germania e in Giappone. Dalla mia casa di Milano faccio la spola tra Ivrea (Olivetti), la Brianza e gli aeroporti di tutto il mondo. La mia esperienza con Cassina è stata particolarmente interessante tra gli anni ’60 e ’80. Il mio modo di lavorare non consisteva allora nel proporre progetti conclusi con rendering (ancora inesistenti) o modellini immaginati a freddo ma si svolgeva in una serie di incontri-scontri creativi, specie di jam session o laboratori sperimentali che si concludevano prima o poi con un prototipo funzionante, frutto di un processo evolutivo quasi darwiniano con il supporto di un Centro di ricerche e sviluppo per nuovi progetti, il “Centro Cesare Cassina” diretto dal giovanissimo Francesco Binfarè. Un esempio che ha fatto scuola, analogo a quanto avevo creato sin dagli inizi anche per Olivetti.
 
Pop, Minerva Grundig, 1968
 
Quasi ogni giorno incontro persone che possiedono, o hanno usato, tre cose disegnate da me: il mangiadischi Pop, i divani Le Bambole, la sedia Cab. Pop è il frutto di una richiesta del Gruppo Minerva-Grundig: disegnare un mangiadischi basato su un meccanismo esistente. La mia curiosità mi spinge a guardarci dentro e a decidere che per ottenere un oggetto innovativo e “user friendly” non si doveva partire dal fuori ma dal dentro. Con l’assistenza di un progettista meccanico e di uno elettronico, e con mio fratello Dario, ridisegniamo radicalmente il dentro come parte integrante della forma dell’oggetto finito. Per me proprio la forma significante, infatti, è la funzione più importante di un oggetto. Bianco, giallo, arancio, rosso, verde. Leggero e simpatico: il Pop è stata una sorta di “borsetta canora” prodotta in milioni di esemplari per tutta l’Europa, il nonno dell’iPod. Era il 1968.
Quattro anni dopo Le Bambole sono un’altra storia fortunata. Una famiglia di imbottiti inventata e sviluppata nel Centro Cassina. Senza gambe, senza struttura, nasce ripensando l’indefinibile e semplice complessità del “cuscino”. Un cuscino che si articola in modo tridimensionale fino a diventare un accogliente grembo materno. Un oggetto fino ad allora mai visto, scandalosamente fotografato da Oliviero Toscani con la modella Donna Jordan. Un cult trasgressivo fin dal primo giorno.
La Cab viene alla luce nel 1977 in Brianza. Porta il nome di una carrozza, è una sedia che continua a moltiplicarsi. Buffo per una seduta nata un giorno in cui al Centro Cassina ho esordito dicendo: “Perché non disegnare una nuova sedia?”. Naturalmente nessuno ce l’aveva chiesto ma proprio quello spirito di libertà e di indipendenza dai vertici aziendali e il peculiare processo evolutivo-sperimentale del Centro Cassina di allora ha permesso la nascita di un “mostro”. Costruita integralmente in cuoio con un esile e invisibile scheletro in acciaio la Cab, tuttora in piena produzione e già prodotta in 600 mila esemplari, è stata capostipite di una sempre più numerosa serie di analoghe proposte.
La mia vita è cambiata proprio quando il MoMA mi ha fatto disegnare, sì proprio disegnare, la mostra che mi ha “celebrato” come designer internazionale (allora non era così comune esserlo…). In quei giorni, maturando una decisione a lungo rinviata, ho deciso di concentrarmi sull’architettura, disciplina studiata e molto amata all’Università di Milano con Portaluppi, Rogers, Ponti. Senza dimenticare il piacere però di continuare a disegnare di tanto in tanto alla piccola scala. Abbandonate macchine e “consumer product” al loro destino, continuo a ritenere che arredi e suppellettili della nostra vita quotidiana fanno parte integrante della cultura dell’abitare. Così com’è stato per tutti i maestri dell’architettura moderna e come significativamente è tornato a esserlo per molti maestri dell’architettura contemporanea. Stardust, un divano oltre che uno standard musicale molto noto, e Dune, che per me è il nome di un vassoio, sono esempi di impertinenti scorribande di architettura domestica. 
 
Sturdust e via lattea, sistemi di imbottiti, Meritalia, 2008
 
Stardust, nato in casa Meritalia, è una famiglia di imbottiti letteralmente “imbottiti” di ravioli d’aria. Niente pelle, niente stoffa ma contenitori confezionati in semplici forme squadrate in un materiale tessile tecnico-industriale in fibre traslucide riciclate. Al suo interno un nastro flottante di LED RGB consente di mettere in campo il primo esempio di poltrone e divani luminescenti. E leggeri come una piuma. Astrale.
 
Dune, concepito per Kartell, è il figlio illegittimo di un concorso di architettura (quasi vinto). Doveva essere un gigantesco “light wall” dentro un edificio storico di Berlino destinato a diventare il Museo della storia della città. Il padre e la madre di Dune sono infatti, paradossalmente, lo stesso file digitale, a sua volta ricavato ingigantendo un campioncino tridimensionale di acciaio inossidabile, che avrebbe dato origine a quel muro luminoso di Berlino. Oggi sta nelle mani e sulle tavole di migliaia di persone in tutto il mondo, rifrangendo mille sfumature e trasparenze di Plexiglass. Ho sempre creduto e continuo a credere che non si debba mai fare confusione di scala e di valori disegnando città, architetture, spazi e oggetti. Ma ciò non può impedire a un architetto di giocare - e rischiare - con la tavolozza del linguaggio personale fintanto che esso resta responsabilmente nelle sue mani. Ma allora che cos’è veramente il “design”? Una nuova disciplina nata agli albori del ‘900 come risposta alle istanze della Rivoluzione industriale e al conseguente estinguersi dell’artigianato? O non addirittura uno stile? E questa sola ipotesi dovrebbe far fremere di indignazione i teorici puristi della scuola tedesca… E perché no? Certamente, per intanto, è uno stile dei nostri tempi. Non si dice “questo è un oggetto di design? Quella è una azienda di design”. Non esistono negozi la cui insegna recita: “Cucine design”?. Io preferisco definire “design” tutto ciò che è il frutto di quell’incessante processo del disegnare ciò di cui abbiamo sempre avuto e sempre avremo bisogno. In questo senso la bellissima sedia di Tutankhamon, realizzata nell’antico Egitto e ritrovata negli scavi del tesoro del faraone, deve essere considerata a pieno diritto un antenato “di design” di tutte le sedie disegnate fino ad oggi e di tutte quelle che si continueranno a disegnare.
 
 
 
 

 

 

 



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