Giovanni Levanti
|
Giovanni Levanti
Product Designer
|
|
Nato a Palermo, dopo la laurea in Architettura, interessato alle avanguardie artistiche e al design radicale, si trasferisce a Milano. Frequenta la Domus Academy e inizia a collaborare con Andrea Branzi. Nel 1991 apre il proprio studio. Il suo lavoro è subito riconosciuto e apprezzato: partecipa alla mostra “12 nuovi Memphis” e marchi rinomati del design come Cassina, Edra e Campeggi includono nei loro cataloghi suoi progetti.
Inizia a indagare - attraverso un metodo fatto di continui rimandi tra intuito e rigore - differenti possibilità e nuove tipologie per rinnovare il comfort domestico: “contestatore coraggioso del salotto buono” per Beppe Finessi, “un metodo individualista e un’opera individuale” per Alessandro Mendini, “uno dei più originali designer italiani” per Vanni Pasca. Il suo lavoro si pone tra visione e realtà, aperture utopiche e prodotto. Collabora tra gli altri con Alessi-Twergi, Azzurra Ceramica, Diamantini&Domeniconi, Foscarini, Pallucco, Salviati, Serafino Zani, e per le aziende giapponesi In the Room, Marutomi e Nagano.
Suoi oggetti, progetti e disegni sono selezionati negli anni per prestigiose mostre internazionali, tra le più recenti: La casa morbida a cura di B. Finessi (Milano, 2014); Ultrabody, a cura di B. Finessi (Milano, 2012), Design una storia italiana, a cura di M. Romanelli (Roma, 2011, Torino, 2012); Le Fabbriche dei sogni, a cura di A. Alessi (Milano, 2011); Quali cose siamo, a cura di A. Mendini (Milano, 2010); 1978-2008 Made in Italy, Brazilian Design Biennal, a cura di V.Pasca (Brasilia, 2008); Il Modo Italiano, a cura di G. Bosoni (Montreal, 2007, Toronto, Rovereto); 1945-2000 Il Design in Italia, 100 oggetti, a cura di S. Annichiarico (Seoul, 2001 itinerante); Italia e Giappone – design come stile di vita, a cura di A. Branzi (Yokohama, Kobe, 2001).
Suoi oggetti sono presenti nella Collezione Permanente del Design Italiano della Triennale di Milano, nella Collezione di Design del Museum of Fine Arts di Montreal e nella Collezione di Design del Museo Nazionale d’Arte Moderna del Centre Pompidou di Parigi. Tra i riconoscimenti: Il Palermo Design Week (Palermo, 2007) e il Design Plus Prize (Francoforte, 2000), le selezioni al XXII Premios de Disegno cDIM Professionales (Valencia, 2004) e al XIX Premio Compasso d’Oro ADI (Milano, 2001).
Nel 2007 la sua prima personale nei locali del Caffè Letterario del Teatro Massimo di Palermo. Nel 2010 Beppe Finessi cura un’ampia retrospettiva sul suo lavoro negli spazi delle gallerie Careof e Viafarini, presso la Fabbrica del Vapore a Milano. Nel 2014, l’allestimento “Il Candore Umano” a Palazzo Agliardi nell’ambito di DimoreDesign Bergamo.
Born in Palermo, after graduating in Architecture, interested in the artistic avant-garde movements and radical design, he moves to Milan. He attends Domus Academy and starts collaborating with Andrea Branzi. In 1991 he opens his own studio. His work is immediately recognized and appreciated: he participates in the exhibition “12 New Memphis” and renowned design brands such as Cassina, Edra e Campeggi include his projects in their own catalogues.
He starts to research – through a method based on the constant feedback between intuition and discipline – different possibilities and new typologies for renewing the domestic comfort: “brave protester of the living-room” according to Beppe Finessi, “an individualist method and an individual work” according to Alessandro Mendini, “one of the most original Italian designers” according to Vanni Pasca. His work is placed between vision and reality, utopic openness and product. He collaborates with Alessi-Twergi, Azzurra Ceramica, Diamantini&Domeniconi, Foscarini, Pallucco, Salviati, Serafino Zani, among others, and for Japanese companies such as In the Room, Marutomi and Nagano.
His objects, projects and designs are selected throughout the years for prestigious international exhibitions, among which, the most recent ones are: La casa morbida curated by B. Finessi (Milan, 2014); Ultrabody, curated by B. Finessi (Milan, 2012); Design una storia italiana, curated by M. Romanelli (Roma, 2011; Torino, 2012), Le Fabbriche dei sogni, curated by A. Alessi (Milan, 2011); Quali cose siamo, curated by A. Mendini (Milan, 2010); 1978-2008 Made in Italy, Brazilian Design Biennale, curated by V. Pasca (Brasilia, 2008); Il modo italiano, curated by G. Bosoni (Montreal, 2007; Toronto, Rovereto); 1945-2000, Il Design in Italia, 100 oggetti, curated by S. Annichiarico (Seoul, 2001 traveling); Italia e Giappone – design come stile di vita, curated by A. Branzi (Yokohama, Kobe, 2001).
His objects are present in the Permanent Collection of Italian Design at Triennale in Milan, in the Collection of Design at the Museum of Fine Arts of Montreal and in the Collection of Design at the National Museum of Modern Arts of the Pompidou Centre in Paris. Acknowledgements: Palermo Design Week (Palermo, 2007) and Design Plus Prize (Frankfurt, 2000), selected for the XXII Design Awards DIM Professionals (Valencia, 2004) and for the XIX Golden Compass Award ADI (Milan, 2001).
In 2007, his first personal exhibition was held at Literary Café of Teatro Massimo in Palermo. In 2010 Beppe Finessi curates a broad retrospective of his work in the grounds of the Careof and Viafarini Galleries, at the Fabbrica del Vapore in Milan. In 2014, he designs the setting of “Il Candore Umano” (The human purity) at Palazzo Agliardi in the context of DimoreDesign Bergamo.
Interview
La fortuna di essere stato nel posto giusto al momento giusto si è concretizzata, nel mio caso, nella formazione universitaria e postuniversitaria per me fondamentali. Agli inizi degli anni ‘80 frequentavo la facoltà di Architettura a Palermo in un clima del tutto positivo e aperto e cominciavo ad interessarmi al design, per inciso qualcuno prima o poi dovrà rendere omaggio al lavoro prezioso svolto in quella sede da Annamaria Fundarò e dal suo team nell’Istituto di Disegno Industriale, che ha anticipato l’apertura delle scuole italiane al design. A Palermo seguivo le lezioni di E.Sottsass, A. Mendini, U. La Pietra, E. Mari, M. De Lucchi e studiavo su “Merce e Metropoli” testo che raccoglieva le lezioni del corso integrativo tenuto in facoltà da Andrea Branzi, prima stesura di quello che anni dopo sarebbe diventato “La Casa Calda”, un testo fondamentale del nuovo design italiano.
Poi la scelta di trasferirmi a Milano per frequentare, grazie ad una borsa di studio della Comunità Europea, Domus Academy, scuola postuniversitaria, nel pieno dell’energia in quegli anni iniziali: ancora a stretto contatto con studenti molto diversi per provenienza e cultura e docenti/non docenti come A.Castiglioni, M.Bellini, G.Pesce, D.Santachiara, R.Bonetto, C. Trini Castelli e A.Petrillo, P. Restany e G.Pettena: un accenno, una parola, sfiorando la mia sensibilità, potevano cambiare profondamente il mio modo di vedere le cose. In quegli anni ho capito sempre di più la forza e la bellezza del design italiano così vitale e intenso perché assolutamente libero di contraddirsi, in tal senso il rapporto con i maestri da parte mia non è stato mai conflittuale. Ho pensato sempre invece ad un modo italiano che continua ancora a creare infinite opportunità per il progetto.
Si parlava ovunque di design. La parola design sembrava diventata una specie di “piercing sonoro”, che ci portavamo addosso. Ad Andrea Branzi - direttore della scuola - piacquero molto i miei schizzi e vide il mio progetto di Master - una lampada che creava sulle pareti disegni personalizzabili, apparizioni domestiche, quasi come il genio della lampada di Aladino: mi chiese di andare a lavorare nel suo studio, doveva preparare una mostra che pensava di titolare “Animali Domestici”. Voleva un ambiente buio con delle proiezioni sulle pareti. Finì che, dietro i suoi suggerimenti, firmai l’allestimento e disegnai l’invito. Conservo naturalmente i “vetrini” spruzzati e graffiati con le prove delle proiezioni, allora lavoravo in maniera molto istintiva senza il peso della responsabilità perché ancora non capivo bene.
Il mio primo progetto risale al 1986 ed è stata la fruttiera Thelonious: una lamiera di acciaio inox sagomata e poi inserita in una macchina piegatrice.
The fortune of being in the right place at the right time materialized, in my case, in the graduate and post-graduate education, to me of paramount importance. At the beginning of the 80’s I attended the Architecture College in Palermo in an utmost positive and open environment and I was beginning to be interested in design; by the way, someone should sooner or later honor the precious work carried out at the venue of Annamaria Fundarò and her team at the Industrial Design Institute, that anticipated the opening of the Italian schools to design. In Palermo I followed the lessons of E.Sottsass, A. Mendini, U. La Pietra, E. Mari, M.De Lucchi and studied “Goods and Metropolis”, text that collected the lessons of the integrative course held at the faculty of Andrea Branzi, the draft of what would years later become “La Casa Calda” (The Warm House).
Afterwards, the choice of moving to Milan and attend – thanks to an EU scholarship – Domus Academy, postgraduate school at the top level of energy of those initial years: still in close contact with students diverse by origin and culture and teachers/non-teachers like A.Castiglioni, M.Bellini, G.Pesce, D.Santachiara, R.Bonetto, C.Castelli e A.Petrillo, P. Restany e G.Pettena: a hint, a word, caressing my sensitivity, could deeply change my way of looking at things. In those years I gradually understood the strength and beauty of the Italian design, vital and intense while utterly free of contradictions; in that sense the relationship with the masters from my part was never conflicting.
I have always thought, instead, in an Italian way that continues to create infinite opportunities for design. Everywhere people talked about design. The word design seemed to have become some sort of “sonorous piercing”, that we carried upon us. Andrea Branzi – the school director – liked many of my sketches and saw my Master design – a lamp that created customized drawings on the walls, domestic apparitions, almost like the genie in Aladdin’s lamp: he asked me to go work at his studio, he had to prepare an exhibition he was thinking of naming “Domestic Animals”. He wanted a dark environment with projections on the walls. In the end, following his suggestions, I signed the setting and designed the invitations. I naturally still keep the “windows” sprayed and scratched with the proof of the projections, I used to work in a natural way without the weight of responsibility because I still didn’t understand very well. My first project saw the light in 1986 and it was the fruit-bowl Thelonious: a stainless-steel sheet, profiled and then inserted in a bending machine.
Seguito direttamente da me - oggi diremmo autoprodotto - rimane per me una esperienza unica, perché in seguito ho sempre collaborato con le industrie sviluppando i progetti direttamente con le aziende. Ho avuto subito delle opportunità concrete e i miei progetti sono piaciuti. Ho disegnato per Memphis, Edra, e poi Cassina nel 1991, con il tavolino Nido - una base colorata, dei lunghi distanziatori, un piano in cristallo, un tirante in acciaio che assembla per compressione tutte le parti e ferma il tutto grazie ad una unica vite – un progetto che continua a piacermi molto. Ci sono oggetti, ormai disegnati parecchi anni fa, che continuano ad affascinarmi, nonostante abbiano avuto poco successo commerciale e siano ormai fuori produzione, come il cestino/fruttiera CT1427 disegnato per Alessi-Twergi, e oggi parte della Collezione di Design del Centre Pompidou, così semplice e denso nel trasmettere il suo modo d’uso. Oppure la lampada Cromatica che continuo ad usare a casa sempre con molto piacere ancora adesso. La Cromatica è del 1994, l’idea è quella di cambiare l’atmosfera di casa reinventando un gesto conosciuto come quello del voltar pagina: cambiamo, voltiamo pagina e improvvisamente le pareti della stanza si colorano grazie alla luce che viene riflessa da fogli di carta di vari colori, come in una “partitura cromatica”. A metà strada tra un leggio e uno strumento da laboratorio la Cromatica nasce pochi anni prima della diffusione dei Led che porteranno alla luce sintetica, memorizzabile attraverso un telecomando.
Continued directly by me – today we’d say self-produced – it remains to me a unique experience, because afterwards I have always collaborated with industries that develop the products directly with the company. I immediately had concrete opportunities and my objects were liked. I designed for Memphis, Edra and, afterwards, Cassina in 1991, with the coffee-table Nido – a colored base, spacers, a glass plane, a steel rod that assembles all the parts by compression and is blocked by a screw – a project that I still like very much. There are objects, designed many years ago, that continue to fascinate me, even when they had little commercial success and are now out of production, like the basket/fruit-bowl CT1427 designed by Alessi-Twergi, and now part of the Collection of Design at Pompidou Centre, simple and dense in the way of transmitting it’s function. Or also the lamp Cromatica that I use at home with great pleasure to this day. The Cromatica is from 1994, the idea is to change the atmosphere of the house re-inventing a known gesture like that of turning a page: we change, we turn the page and suddenly the walls of the room are colored thanks to the light that is reflected by the sheets of papers of different colors, like a “chromatic music score”. Half-way between a desk lamp and a lab instrument, the Cromatica is born a few years previous to the diffusion of LED that would lead to synthetic lighting, operable by remote-control.
Nel 1999 ho disegnato “Xito”: primo di una serie di decise sperimentazioni sul tema del comfort domestico. Imbottito rigoroso ma indisciplinato, aperto a usi diversi è stato sin dall’inizio definito per negazione: si sa cosa non è, proprio perché posizionato ai bordi di più tipologie: letto, chaiselongue, tappeto. Alla vista delle foto per la cartella stampa ci rendemmo conto che non apparivano chiare neanche le dimensioni: poteva essere un piccolo oggetto per la tavola o un cuscino, dovemmo rifarle in tutta fretta chiedendo ad una amica vicina di casa del fotografo di sdraiarcisi sopra. In seguito arrivarono richieste per usi a cui non avevamo pensato: sui pontili delle navi, oppure - da un ospedale - per l’utilizzo come base morbida per i travagli di parto.
Queste “cose morbide” rigorose nel loro essere ma dalla tipologia indefinita hanno interessato una buona parte del mio lavoro nel decennio successivo: O-by-O (2001), No-Code (2002), Sneaker, (2006) Gobbalunga (2007). Sneaker per esempio è una grande guaina in tessuto elastico, che protegge e accomuna una palla gonfiabile e un trampolino con tappeto elastico. Una palestra domestica con un packaging tessile che asseconda il linguaggio degli imbottiti domestici, con un carattere e una natura molto distanti dagli attrezzi freddi, nero e cromo, tipici della cultura del fitness.
In 1999 I designed “Xito”: first of a series of determined experimentations on the subject of domestic comfort. Rigorous but unruly padding, open to various uses, it has been, since the beginning, defined by negation: one knows what it’s not, because it’s positioned on the edge of more than one typology: bed, chaise-longue, carpet. Seeing the images for the press kit we realized that not even the dimensions were clear, it could be a small object for the table or a cushion, we had to redo them in a hurry asking a close friend of the photographer’s to lie down on it. Soon after requests started arriving for uses we hadn’t thought of: on ship decks, or – from a hospital – to use as a base for birthing chairs.
This “soft things” rigorous in their being but of undefined typology interested a good part of my work in the following decade: O-by-O (2001), No-Code (2002), Sneaker (2006), Gobbalunga (2007). Sneaker, for example, is a big sheath of elastic fabric that protects and brings together an inflatable ball and a trampoline with elastic carpet. A domestic gym with a textile packaging that refers to the language of other household stuffed items, with a character and nature far from the cold, black and chrome, equipment of the fitness culture.
Ho sempre pensato - in continuità con la tradizione del “Made in Italy” - ad un progetto che si realizza in un rapporto molto stretto e vitale tra designer e industria. Progressivamente la disponibilità e l’apertura verso la ricerca delle aziende italiane è andata invece diminuendo, la sua specificità “mediterranea”, caratterizzata da buon senso e azione, intuito e tecnica si è persa a favore di un ruolo asettico e neutrale che ha accolto designer in grado di mostrare disegni e prototipi già definiti e in più abili nel comunicare la propria immagine. Modalità sconosciute prima alle aziende italiane e soprattutto economiche: apparentemente un dono inaspettato ma in effetti l’inizio dell’affermazione del “designer eroe” sul “design eroico”. E siamo ai nostri giorni.
Esistono naturalmente tanti modi di pensare il design futuro, la ricerca tecnologia sarà decisiva e purtroppo anche in questo campo l’industria italiana sembra passiva utilizzando talvolta le novità senza incoraggiarle o anticiparle.
Per quanto mi riguarda ho sempre lavorato molto concentrato, attento ai cambiamenti e ai nuovi comportamenti, ma fuori dalle mode e sempre più attratto da un progetto che lavora sui bordi delle tipologie e delle possibilità. Il progetto è sempre qualcosa di complesso, mi sono fatto una mia maniera cercando di catturare le idee, cercando l’ignoto attraverso l’insicurezza, l’incoscienza e la dispersione in quel particolare momento del fare progettuale che mi piace chiamare del candore umano. E poi, metodo e rigore a seguire. Quando disegno qualcosa mi chiedo sempre: “è necessaria?” Perché la “necessità” è qualcosa di diverso dall’utilità. La “necessità” indica una urgenza critica, un impegno verso la trasformazione.
I have always thought – following the tradition of the “Made in Italy” – of a project that is materialized through a close relationship between the designer and the industry. Progressively, the availability and the openness towards research of Italian companies has diminished, its “Mediterranean” specificity, characterized by good sense and action, intuition and technique, has been lost in favor of an aseptic and neutral role that has taken in “designers” already capable of using the computer, able to show never-seen-before prototypes – because already defined – and more skillful in communicating their own image. So far unknown modalities for Italian companies and, above all, economical: apparently an unexpected gift but, in fact, the beginning of the assertion of the “hero designer” over the “heroic design”. And here we are now. There are naturally so many ways of thinking future design, technological research will be decisive and, unfortunately, also in this respect the Italian industry seems passive, using innovation at times without encouraging or anticipating it.
As far as I’m concerned, I have always worked in a very focused way, mindful of the changes and new behaviors, but detached from the trends and always more attracted by a project that works on the borderline between typologies and possibilities. The project is always something complex, I have found my own way trying to capture ideas, looking for the unknown through insecurity, unconsciousness and dispersion in that particular moment of the design process that I like to call the human purity. And then, follow method and discipline. Whenever I draw something I ask myself: “is it necessary?” Because “necessity” is different from utility. “Necessity” indicates a critical urgency, an effort towards transformation.
|