Design For 2013, aziende, iosa ghini
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Classe 1959, Massimo Iosa Ghini ha studiato architettura a Firenze per poi laurearsi al Politecnico di Milano. Oggi è considerato uno degli architetti e designer italiani presenti nel panorama internazionale. Dal 1985 partecipa alle avanguardie dell’architettura e del design italiano: fonda il movimento culturale Bolidismo ed entra a far parte del gruppo Memphis con Ettore Sottsass. Nel 1989, a Osaka, gli vengono consegnate le Chiavi della Città. Negli stessi anni apre la Iosa Ghini Associati, con sede a Milano e Bologna. Tiene conferenze e lectures in varie Università, tra le quali il Politecnico di Milano, la Domus Academy, l’Università La Sapienza di Roma, la Scuola Elisava di Barcellona, Design Fachhoschule di Colonia e la Hochschule fur Angewandte Kunst di Vienna. È docente dal 2007 all’MBA della Alma Graduate School di Bologna; dal 2008 è Adjunct Professor al Politecnico di Hong Kong. I suoi progetti si trovano in vari musei internazionali ed hanno ricevuto importanti riconoscimenti, tra cui il Roscoe Award negli U.S.A.,1988; il Good Design Award, 2001, 2004, 2009, 2010 e 2011 dal Chicago Athenaeum; il Red Dot Award nel 2003; l’iF Product Design Award nel 2011 e il premio IAI AWARD Green Design Global Award (Shanghai, China) nel 2011.
Terminati gli studi a Firenze mi ero trasferito a Milano ove iniziai a lavorare sui fumetti prima con Frigidaire e poi con AlterLinus, un giornale di arte, fumetti e tendenze di Rizzoli. Frequentando la redazione di Linus conobbi un produttore televisivo che stava creando un nuovo programma per la Rai. Grazie a quell’incontro incominciai a disegnare scenari di programmi televisivi.
Bertrand, Memphis, 1979
Il passaggio in Rai è stato veramente qualcosa di propedeutico; senza quell’esperienza non sarei probabilmente riuscito ad affermarmi nel design. Sembra banale, spesso non sapevo nemmeno bene come realizzare certe mie idee ma lì c’erano dei falegnami e degli arredatori straordinari, che mi aiutavano. Erano anni fantastici, io ero molto giovane e mi ero fatto una cerchia di amicizie nell’ambiente della televisione.
Nella fase già matura iniziai a frequentare Memphis era l’85/86, avevo cominciato a collaborare con alcune aziende del tessile e così conobbi un industriale che conosceva benissimo Ettore Sottsass. Un giorno guardando i miei disegni tirò su il telefono e chiamò Ettore che si mostrò disponibile ad un incontro. A me non pareva vero e il giorno dopo lo chiamai e andai a trovarlo. Dopo di che lui mi invitò ad una prima mostra e poi pian piano iniziai a frequentare tutto il gruppo di Memphis; sono stati anni molto intensi… Nel contempo nasceva il gruppo dei Bolidisti, un fenomeno parallelo e, se vogliamo anche succedaneo, in quest’idea movimentista, nel dialogo, nella reciproca stimolazione e anche nel dibattito.
Newtone, Moroso, 1989
Abbiamo fatto alcune riunioni per parlare di design ed è venuta fuori l’idea di creare un gruppo che io in un primo tempo volevo chiamare Linea Fluida ma poi, poiché bisognava essere più incisivi, venne fuori il nome Bolidismo, quindi fondammo il movimento. All’inizio eravamo io, Corrado, Caramia, Donegani, Giovannoni e Venturini, poi il gruppo si è allargato ad amici vari e professionisti. Come operatività sono stati tre anni ma in realtà è stato un momento che ha inciso a lungo. Mi ricordo Philippe Starck che ad un certo punto contattò Caramia portandolo a Parigi e lui iniziò a disegnare tutti quegli oggetti in alluminio, tutti un po’ bombati. Abbiamo avuto una stagione intensa, poi naturalmente e giustamente il gruppo si è sciolto. A quegli anni risale anche la mia amicizia con Patrizia Moroso. Patrizia era la compagna di Igort, un caro amico degli anni di Frigidaire.
Patrizia mi presentò suo padre e io gli mostrai alcuni miei progetti. Fu un processo lento, volevo proseguire un percorso che avevo iniziato a sviluppare con Memphis, diciamo ad alta visibilità, in cui il soggetto si autorappresentava e che, con una visione molto angolata, poteva però avere anche un suo sviluppo come progetto di prodotto. Nella mia mente dissi: “con Moroso, possiamo fare questo percorso insieme”.
Avevo già un mio studio a Milano, con Maurizio Corrado che è stato un po’ il mio compagno di avventure per tanti anni e qualche collaboratore, tra cui Roberto Semprini. A quei tempi si lavorava molto ma non si lavorava con un obiettivo economico; c’era questo aspetto eroico dell’avanguardia, del fare proposte, di avviare collaborazioni che poi si sono sviluppate negli anni successivi. Mi ricordo ad esempio che un giorno Roberto si è presentato con un suo amico Mario Cananzi, si sono messi al tecnigrafo e hanno sviluppato il disegno di un divano che ancora oggi si vede in giro: il Tatlin. Io avevo disegnato un divano per Moroso a forma di goccia e loro dissero “facciamone uno a spirale”, poi hanno avuto la fortuna di trovare Morozzi che glielo ha inserito nel catalogo di Edra. C’era anche un certo livello, non dico di casualità, perchè a mio parere se c’è l’energia e il talento il risultato poi arriva, però tante cose
sono nate così di getto, d’impeto.
Subito dopo la mostra al Design Gallery nel 1989, il livello della mia visibilità aumentò molto, gli interlocutori iniziarono a prendermi sul serio e le aziende iniziarono a chiedermi consulenze e prodotti. In parallelo, sempre grazie ad Ettore, Kuramata mi chiamò in Giappone per fare una mostra all’Inspiration Gallery presso l’Axis Buiding di Tokio. Fu un successo strepitoso. Ricordo che portai diversi oggetti fatti per Memphis, qualche primo prototipo della Moroso e sopratutto parecchi disegni che avevo sviluppato per progetti e scenari che esposi sulla base di una mia idea sviluppata già al Design Gallery dove avevamo fatto una mostra sulla bidimensionalità e tridimensionalità e dove gli oggetti si specchiavano nei propri disegni dipinti talvolta anche a grandezza naturale. Da quella mostra sono nati diversi lavori di arredamento per delle aziende in Giappone, fondamentalmente per aree di showroom dove c’era la necessità di rappresentare l’azienda più che l’operatività, e parecchi progetti di design con Yamagiwa ed altre aziende. Allora c’era Philippe Starck che aveva un agente in Giappone e lavorava parecchio a Tokio; mi si presentò un concorrente di questo per propormi di diventare suo assistito. Con lui poi facemmo un società, la “Iosa Ghini Japan” che per sette anni ha gestito il flusso dei lavori e delle royalties.
Pixel Pro, iGuzzini Illuminazione, 2012
In questi anni il mio modo di lavorare è rimasto simile ma si è naturalmente evoluto. Come dice Houellebecq “man mano che avanzi con l’età tutto diventa più semplice”, “purtroppo”, aggiunge lui e aggiungo anch’io. Quello che cerco di mantenere, perchè fa parte della fonte ispirativa della mia cultura visuale, è la caratteristica legata all’espressività. Sento l’importanza di un linguaggio che abbia una propria identificabilità e una propria espressività, faccio fatica a leggere l’annullamento del linguaggio. In questo senso sono un post-razionalista, la forma segue la funzione, ma dalla forma si deve percepire la funzione, e questo è rimasto l’elemento ispiratore del mio lavoro. All’interno di questo vasto concetto ogni progetto trova la sua specificità; faccio cose che non sono necessariamente legate a un’estetica velocistica. Quando progetto in forma singola agisco su determinati parametri ma poi quando lavoro su progetti di interior design o di architettura l’elemento semantico è comunque mediato da altri elementi e dalle altre persone che lavorano con me. Però, l’elemento di espressività lo tengo sempre come una costante. Un altro elemento che continuo a utilizzare è quello della interdisciplinarietà, se pure con un’attività meno intensa il design mi piace tantissimo e lo vivo ora in relazione all’architettura. Dalla piccola alla grande scala; questo è il mio approccio disciplinare.
Guardando la nostra tradizione è leggibile questa interdisciplinarità che ha un senso enorme perchè è l’unica metodologia che consente di creare innovazione per impollinazioni successive, quindi è importante sia nel design sia nell’architettura. Si può fare un’architettura lavorando per componenti esistenti e facendo l’assemblatore oppure si può creare del Bertrand - Memphis- 1979 Newtone - Moroso- 1989 custom-made, progettando degli elementi che possano diventare tranquillamente delle parti anche per altri. È un po’ questo il passaggio, riuscire a incrementare il valore attraverso la progettazione di elementi che poi diventano un corpus unico. Per valore non intendo solo denaro, ma valore “benessere”, senso di armonia, la sensazione che si è fatta una cosa per bene, e questo implica una certa continuità tra progetto di design e progetto di architettura.
Ferrari Factory Store, Serravalle Scrivia, 2009
Una separazione ha un senso se ragioniamo sul mercato globale. Ad esempio in uno studio di design anglosassone sei l’interprete di considerazioni legate al marketing, a degli strumenti di ricognizione, a valutazioni sui costi e sulla vendibilità e quindi si parte da dati strutturali a cui si dà risposta con il progetto.
Diverso è il design italiano, un design d’invenzione, dove è l’idea che fa sì che il progetto abbia un elemento connotativo di differenza. Sono convinto che il design nella nostra tradizione, ha una metodologia decisamente trasversale: lavorare su varie entità per trovare gli elementi di innovazione. Oggi c’è un po’ di preoccupazione che riguarda le aziende, i designer e la produzione. Razionalmente posso condividere questa preoccupazione perchè è evidente che il mestiere del progettista o del designer è un mestiere che deve avere, appunto come controcampo, un tessuto produttivo in grado di supportarlo.
Devo dire però che rispetto a quella che può essere una geografia della locazione dei poli dell’insegnamento, a parte Milano, dove è evidente che c’è più spazio che da qualsiasi altra parte d’Italia per creare le infrastrutture di formazione per questo mestiere, ci sono delle zone in Italia, mi viene in mente il barese, dove si sono sviluppate aziende anche di dimensioni notevoli che lavorano comunque nel design e dove non ci sono scuole di design a supportare questa vocazione del territorio.
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