NEL CORPO DELLA CITTà

DESCRIZIONE: L’analogia tra manufatto urbano e organismi biologici ha una lunga storia, e attraversa in forme inaspettate la cultura urbana nei secoli. In essa si...

L’analogia tra manufatto urbano e organismi biologici ha una lunga storia, e attraversa in forme inaspettate la cultura urbana nei secoli. In essa si parla di “tessuto urbano”, di “polmoni verdi”, di “arterie di traffico”, di “cellule edilizie” e le metafore mediche di “risanamento” e di “sventramento” attestano la violenza che l’urbanistica moderna ha dimostrato nei confronti della città antica. Dalle filastrocche infantili ai trattati d'architettura cinquecenteschi, l'analogia tra edificio e corpo umano rimbalza in una serie di catene analogiche non particolarmente fantasiose. Andrea Palladio fa un curioso paragone tra e le interiora del corpo e i ripostigli degli edifici, che con il loro funzionamento nascosto danno vita alle parti “nobili” quali atri e scaloni. Se il paradigma del corpo umano è continuamente evocato nella teoria architettonica come fonte di ogni coerenza e bellezza, le struttura edilizie costruite dall’uomo sono spesso prese a modello per spiegare la nostra fisiologia. Un'eloquente figura del trattato di anatomia di Tobias Cohn, il Maasseh Tobiyyah del 1707, paragona il corpo umano a un edificio di quattro piani, e il famoso disegno di Fritz Kahn Der Mensch als Industriepalast del 1926 inaugura la fortunata serie moderna dei diagrammi che rappresentano l’uomo come un edificio o una macchina. L'anti-naturalismo del primo moderno nega ogni esistenza animistica dell’architettura. Essa diventa così un oggetto trasparente, un semplice contenitore climatizzato da cui godere una visione panottica sul paesaggio. La transitività ottica del pan de verre si oppone alla teoria classica della mimesi, incorporandola al suo interno: la natura vista non ha più bisogno di essere rappresentata. Ma la ricerca architettonica contemporanea ha rotto i confini tra simulazione e realtà, e il “sex-appeal dell’inorganico” di cui parlava Walter Benjamin confonde continuamente i confini tra il corpo e il suo involucro, come se l’insieme dei movimenti del primo potessero disegnare lo spazio cavo di un’abitacolo primario, o ridurlo al sacco amniotico della environment bubble di Reyner Banham e Francois Dallegret. La nostra installazione al MAXXI vuole mettere in rappresentazione l’analogia tra corpo umano e città portandola alle estreme conseguenze: una serie di cavità ellissoidali comunicanti tra loro scavano un blocco compatto di colore rosso scuro, come se le cupole del barocco romano diventassero i ventricoli di un grande “cuore di pietra”. Sul pavimento viene proiettata la famosa pianta di Roma incisa da Giambattista Nolli nel 1748 - che rappresenta la città come un corpo solido scavato da strade, corti e interni pubblici - animata con il computer quasi fosse la vista al microscopio di un tessuto umano coltivato in vitro. Strade come vene, colonne come globuli rossi, piazza Santa Maria della Pace come stomaco, il Pantheon come occhio aperto verso il cielo: la città accoglie l’insieme delle nostre vite nel suo tempo dilatato, nel suo corpo solido che permane attraverso le generazioni. L’installazione trasfigura in un oggetto animato l’ideale di un’architettura “organica”, ma anche l’idea dell’urbanista come “medico scalzo” della città, che sappia riconoscere la sua irriducibile unicità e la necessità di trovare nuove terapie non invasive per governarne crescita e vita.