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"SUDARI DI LUCE" ARTICOLO
PROGETTISTA: Maurizio Rossi, IALD ( International Association Of Lighting Designers )
- Anno: : 2005
- Categoria: : ILLUMINAZIONE
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DESCRIZIONE: Mi è stato chiesto di paragonare l’illuminazione del Colosseo a quella della Torre Eiffel. Io trovo però questa richiesta ambigua. L’illuminazione...
Mi è stato chiesto di paragonare l’illuminazione del Colosseo a quella della Torre Eiffel. Io trovo però questa richiesta ambigua. L’illuminazione architettonica è necessariamente contestuale all’oggetto illuminato e, quindi, cosa si deve paragonare? Le diverse tecniche con cui sono stati eseguiti gli impianti di illuminazione? I risultati visivi ottenuti? I metri di cavi elettrici impiegati? Le risposte a queste domande ci direbbero che i due monumenti, tanto diversi tra loro, sono stati illuminati in modo appunto diverso. E allora, ha senso paragonare un’opera come il Colosseo di Roma, vecchia di oltre 1900 anni, e la Torre Eiffel di Parigi, che di anni ne ha “appena” 116? Parrebbe di no, ma una cosa li accomuna: sono entrambi famosi e questo, malauguratamente per loro, li condanna ad essere “illuminati”. Qualche riflessione in proposito, alla fine dei conti, si può tentare.
Illuminati per essere percepiti, in tutta la loro dignitosa grandiosità, come intrinseci riflessi della supremazia dell’opera umana o, più prosaicamente, come insegne a scopo cultural/turistico? L’illuminazione del Colosseo e della Torre Eiffel ha mantenuto loro il manto di rispetto che è dovuto per tutto ciò che rappresentano? O sono stati piuttosto imbellettati, sovrapponendogli una personalità che non gli appartiene? È un problema di recente coniazione, quello dell’illuminazione architettonica dei monumenti, che ha il suo equivalente letterario in “Dr. Jekyll and Mr. Hide”: nobili e rispettabili di giorno, ben altra cosa di notte. Vorrei capire.
In Francia, si è avvezzi già da tempo a illuminare i monumenti. Parigi viene chiamata non a caso "la ville lumière“. In Italia, invece, l’illuminazione architettonica è talmente recente che non esiste neanche un autonomo titolo di studio a corso legale che assicuri quel minimo bagaglio culturale necessario per l’esercizio della professione. Ci si illude, e ci vogliono far credere, che riuscire a progettare architettonicamente una bella lampada, conoscere il significato ingegneristico di lux e lumen, saper usare tecnicamente un programma di calcolo illuminotecnico basti a qualificarsi come lighting designer. Io non credo che sia così, anzi so che non è così.
Mi fu insegnato, penso correttamente, che nella notte, quando si vagola nella ancestrale, terrorizzante, seppur temporanea, condizione di non vedenti, l’illuminazione architettonica, se propriamente interpretata e tecnicamente ben eseguita, dovrebbe far percepire senza maschere né orpelli il mondo che ci circonda. Al contrario, si può parlare semmai di spettacolo, di teatro, di son et lumière. Il che è lecito, per carità, ma l’illuminazione architettonica è un’altra cosa! Far percepire un oggetto significa analizzarlo a fondo e individuare tutti quei segni, quei colori, quelle ombre… che si ritengono caratterizzanti e che, evidenziati per mezzo di adatti strumenti di illuminazione, ci restituiranno, aiutati dalle nostre titillate memorie sensorie consce e subconscie, l’immagine originale. Altra questione è l’illuminazione di un campo sportivo, dove la luce va invece “spalmata” in base a parametri illuminotecnici necessari e quasi obbligatori.
Io non penso che le città e i monumenti, italiani in particolare, debbano essere “valorizzati”. Non ne hanno bisogno, ce li invidiano in tutto il modo già così come sono. Andrebbero semplicemente (?) fatti percepire per ciò che veramente rappresentano e per ciò che valgono, con sensibilità e conoscenza dell’illuminazione architettonica. Una struttura di epoca romana non può essere illuminata come una chiesa barocca. L’illuminazione che spesso si vede nelle nostre città, come nel resto del mondo occidentale, tende invece purtroppo a coprire tutto e tutti con un luminosissimo sudario fatto di “valorizzazione” che finisce per banalizzare, appunto, tutto e tutti. Tutti urlano e nessuno si sente.
Concludendo, credo che uno sfuggevole parametro di paragone tra l’illuminazione del Colosseo e quella della Torre Eiffel possa alla fine essere individuato. E cioè quello per cui l’illuminazione di questi due monumenti – seguendo una logica banalmente globalizzante, che sembra però ormai generalizzata – ha annullato la loro meravigliosa diversità e la loro massiccia rispettabilità, per renderli simili nella nuova, sguaiata spettacolarità. Con le attuali “illuminazioni”, questi gioielli hanno assunto un medesimo peso specifico, sono divenuti una pubblicità turistica a loro stessi, che ci viene però elargita come lavoro pubblicamente meritorio di quanti, politici e non, lo hanno, bontà loro, caldeggiato.
Mi chiedo, infine: è veramente giusto pensare che il Colosseo e la Torre Eiffel e tutto il resto debbano essere “valorizzati”? O basterebbe percepirli come grandi opere del genio umano usando un’illuminazione studiata con più sensibilità e meno presunzione? Conosco la risposta e mi rattrista.