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PROGETTI >> REALIZZATI

BIBLIOTECA  A CAPACCIO

BIBLIOTECA A CAPACCIO

PROGETTISTA: ALDO ANTONIO BRUNO

  • Anno: : 2017
  • Categoria: : Altro
  • Committente: : COMUNE DI CAPACCIO
  • Visto: 679 VOLTE
DESCRIZIONE: Il progetto parte dall’analisi del sito e del luogo oggetto dell’intervento e gli elementi chiave della scelta progettuale sono riferiti al contesto...
Il progetto parte dall’analisi del sito e del luogo oggetto dell’intervento e gli elementi chiave della scelta progettuale sono riferiti al contesto della storia architettonica dell’antica città di Capaccio-Paestum i cui reperti archeologici in tale contesto potranno essere esposti. L’impianto strutturale attorno alla quale ruota l’idea progettuale è quello di un sistema distributivo che ha come riferimento una galleria centrale con chiari rimandi ad un frammento urbano, luogo di incontro e vita sociale. Tale organizzazione si pone come supporto dell’intero organismo, assumendo il carattere funzionale di corpo di distribuzione dei flussi interni. Questa galleria centrale viene a costituire uno spazio autonomo con valenza di un “esterno” che dilatandosi si trasforma in altre immagini spaziali, come la sala poligonale che risulta integrata in modo indissolubile ad essa, costituendone anche il naturale completamento. Questo spazio centrale, con la sua copertura in ferro e vetro è assimilabile ad un vero e proprio esterno, dove gli uomini liberamente si incontrano. ASPETTI TIPOLOGICI L’impianto generale del progetto ripropone una tipologia basilicale con riferimenti greco-romani in sintonia con le vestigia del luogo con le quali intende stabilire un legame di riconoscibilità e di giustificazione formale e spaziale . Il progetto si muove attraverso un lavoro di aggregazione di differenti contenitori spaziali, scomposti e ricomposti nello stesso tempo attorno alla galleria dove le strutture, le funzioni, i percorsi e gli involucri spaziali concorrono in un unicum fatto di “relazioni” più che di forme. Da qui l’idea della biblioteca come istituzione aperta e concepita per essere fruibile in modo semplice e dinamico con il proposito di recuperare la tradizione e riagganciarla al nostro tempo nella continuità storica. PRESENTAZIONE Giovanni Di Domenico Da Shakespeare, “ Il racconto d’inverno”: “Perdita: Col mutar dell’anno, signore, quando l’estate ancora non è morta, e non è nato ancora il tremulo inverno, i più bei fiori di stagione sono i nostri garofani rossi e le viole variegate, che qualcuno chiama bastardi di natura: di questa varietà il nostro giardino è sprovvisto e non mi importa di procurarmene i germogli. Polissene : E perché, Gentilina, non ve ne importa? Perdita: Perché ho sentito dire che c’è un artificio per ottenere questa varietà. Che usurpa il potere creativo della grande Natura. Polissene: Poniamo che sia vero: tuttavia anche i mezzi per migliorare la natura sono forniti dalla natura stessa; sicchè sopra a questo artificio che – come dite voi – prolunga la natura, sta pur sempre un’arte della natura . Vedete, dolce fanciulla, noi sposiamo un gentil innesto a un tronco più volgare, e fecondiamo una scorza di più bassa grana con una gemma di più nobile pianta; è un’arte , questa, che corregge la natura, anzi, la cangia, e tuttavia anche quest’arte è natura”. Questa condizione manieristica dell’arte, questa sua concezione “bastarda“ o artificiale, questo concepir l’arte come natura seconda o comunque prodotto di secondo grado; questo modo tutto mentale di concepirla, di farla crescere come lievitando su se stessa, innestandovi nel contempo organismi spuri, tra il popolare e il sublime; questo essere in continuo bilico tra il naturale e l’artificiale, tra le ragioni “naturali” del mestiere e le ragioni “artificiali” dell’arte; questo continuo aprirsi dell’architettura – “pura” – all’impuro e allo sporco del contesto e della storia; ….questa condizione manieristica dell’arte e dell’architettura costituisce l’orizzonte di riferimento della gran parte delle esperienze attuali dal Le Corbusier e dall’Alto degli anni ’50 alle più recenti ricerche di un Meier, di un Guathmye Siegel di un Venturi. Anche questo lavoro di Aldo Antonio Bruno - di una Biblioteca Comunale a Capaccio – Paestum - rientra in questa condizione intellettuale pur se ancora non compiutamente espressa o soltanto intravista. Il merito principale di questo lavoro sta però, a mio avviso, nell’avere sfiorato questi livelli del significato a partire da una scelta di fondo tanto chiara quanto dolorosa e – a mio avviso – necessaria: quella della rinuncia all’uso di un insieme di stilemi già acquisiti, ad una condizione di apparente “bravura” in realtà di ostacolo ad una lettura limpida e trasparente dei contenuti, per riproporsi i problemi alla base, in un atteggiamento sostanziale di “modestia” ; per seguire i dati del progetto e adattarsi il più possibile alle sfumature e complesse differenze del reale, accettando lo scontro con la brutale realtà dei vincoli e dei condizionamenti oggettivi di vario genere. A partire da questa operazione il ricominciamento dal basso – indispensabile ad una architettura che voglia essere “vera” – in carne ed ossa, e realizzarsi in strutture, pesi, materiali, conti; Aldo Antonio Bruno articola strutture, funzioni, percorsi, involucri, in un’architettura fatta di “relazioni” più che di “forme”, di elementi semplici chiaramente espressivi e relazionati tra loro, che si fanno organismo plastico, sapientemente controllato, “gioco di volumi sotto la luce”. Un’architettura che alla base ha - e deve avere- una positiva condizione di modestia ( i volumi semplici, elementari, alla scala dell’uomo, intelligentemente articolati nel contesto ) e che si sviluppa verso forme plastiche di chiara ascendenza e verso appena accennati lampi dell’intelligenza analitica o della memoria ( la facciata della Biblioteca Comunale di Capaccio con i giochi complessi che instaura tra i suoi elementi, che, pur nella sostanziale continuità di struttura, si fanno autonomi, richiudendosi poi in pilastri multipli monchi; le memorie affioranti degli alti portici o dei timpani frammisti ad un linguaggio di estrazione purista). So quanto siano costate questa esperienze al suo autore, sotto il piano delle rinunce - di vario genere - e dell’impegno testardo, nella fiducia ad ogni costo in se stesso e nell’architettura ( una fiducia che forse la società di oggi non merita, ripagando i suoi sacerdoti di inegual moneta, a tutto vantaggio dei “mercanti”); so ugualmente – mi auguro – che questo scotto già pagato, queste doti morali, sono la principale condizione per ulteriori e più mature esperienze ( lungo la stessa strada, verso un mestiere senz’altro “difficile” – e per molti versi quasi dimenticato – che solo può condursi camminando come su di un filo ( come voleva le Corbusier ), quasi ai margini dell’impossibile, spesso a costo di pesanti sacrifici personali.



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